Se c’è un’età in cui la società italiana, quella ovviamente più privilegiata per condizione economica e intellettualmente più vivace, sembra smaniosa di uscire dall’Italia per viaggiare, questo è il Settecento.
Di questo periodo abbiamo tantissime lettere, diari di viaggio, memorie, biografie, che ci raccontano come viaggiavano, cosa mangiavano, cosa facevano e chi incontravano i viaggiatori dell’epoca.
Navi, vascelli, cocchi, diligenze, carrozze, osterie, alberghi, stazioni di posta rendevano possibili gli spostamenti. I contatti, le lettere di presentazione per accedere ai migliori salotti, e i mezzi adeguati per permettersi soggiorni confortevoli, facevano il resto.
“Il pranzo fu buono con grande quantità di vini” “la tavola fu abbondantissima e molto si mangiò” sono alcune delle annotazioni che si trovano nel diario di viaggio di Alessandro Trissino, nobile rampollo vicentino, discendente di quel Giangiorgio mecenate di Andrea Palladio.
A zonzo per l’Europa il nostro Alessandro frequenta bella gente, vede spettacoli, gioca nei ridotti, corteggia galantemente le signore e nel frattempo legge qua e la in inglese e francese. Spostandosi tra Londra, Anversa, Parigi e Colonia arriva fino a Pietroburgo di cui ammira la brillante vita teatrale “sin spumeggiante” che vanta “sia la commedia francese che quella italiana” e soprattutto un grande teatro d’opera.
A leggere i suoi commenti sembra che anche fuori Vicenza ci si diverta moltissimo!
Nonostante il suo racconto sia quasi una cronaca del suo viaggiare senza particolari riflessioni personali, Alessandro Trissino è un esempio rappresentativo di quella che era la moda del tour attraverso l’Europa, vissuto sia come momento di formazione personale, che come esperienza di puro divertimento (a me ricorda tanto con le dovute proporzioni l’Erasmus) .
Lo troviamo a conversare con brillanti ed aggraziate dame, disinvolte alcune, spregiudicate altre, sempre che il marito geloso non faccia il guastafeste, e partecipare a “pikinik” che gli piacciono tanto.
Sicuramente al suo ritorno a Vicenza Trissino avrà ricordato i festosi incontri all’aperto con colazione, durante i quali si era tanto divertito, contribuendo all’affermazione e all’uso della parola “picnic”, in un momento storico in cui il lessico era avido di anglicismi e francesismi.
Eccolo allora a Londra, alla tavola di mister Waithet gustare “del famoso ananas, frutto assai delicato e in cui si sente il sapore del codogno e dell’arancio del Portogallo e tanti altri gusti che dicono io non li so trovare”. Il frutto “è di un colore gialliccio e verde e rassomiglia ad una pigna” mentre “il fusto rassomiglia come all’aloe”.
Questa passione per i viaggi, i divertimenti, i frutti esotici non si discosta poi tanto da quelli che sono i gusti di oggi…se vi mangerete un ananas sotto l’ombrellone quest’estate, ricordatevi di Alessandro Trissino!